Su iniziativa del Ministero della Salute il 22 aprile si celebra la Giornata Nazionale della Donna. Il 28 marzo è la Giornata Nazionale dell’endometriosi, patologia tanto grave quanto trascurata. E al tumore della mammella si dedica in tutto il mondo l’intero mese di ottobre. Tra due settimane si parlerà infatti dell’ottobre rosa, il cosiddetto Breast Cancer Awareness Month, e di quanto la prevenzione sia importante. Ma quanto viene effettivamente fatto per la prevenzione nel nostro Paese? Quanto noi donne ci prendiamo davvero cura di noi stesse? Più di prima, ma non ancora abbastanza.
Ho posto alcune domande a Gianfranco Scaperrotta, Direttore Sanitario di Lega Italiana contro i Tumori di Monza e Brianza e Responsabile della Senologia all’Istituto Tumori di Milano, per capire meglio la situazione nel nostro Paese. Rilevante è la crescita esponenziale di casi di tumore alla mammella in Italia: secondo ricerche di AIOM – l’Associazione Italiana di Oncologia Medica – siamo passati dai trentacinquemila casi di trent’anni fa agli oltre cinquantacinquemila di oggi. Si registra, inoltre, una scarsa adesione ai programmi di screening del Sistema Sanitario Nazionale al Sud per circa il 20% delle convocate. Al Nord e Centro Italia la situazione è migliore con circa il 70% delle adesioni. Eppure, la diagnosi precoce tramite i programmi di screening ufficiali è lo strumento principale per combattere la malattia con efficacia e garantire una buona prognosi. Come si legge nello stesso sito web del Ministero della Salute, la prevenzione è importantissima e lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge oggi alle donne di età compresa tra i 45 e i 75 anni, allargando le fasce di età delle pazienti esaminate e aumentando l’opportunità di definire la stadiazione di tumori ancora piccoli, e per questo, più trattabili.
Il carcinoma al seno è dunque, a livello mondiale, la malattia oncologica più diffusa tra le donne. Il numero di diagnosi positive è in netto aumento ovunque, soprattutto nei paesi a maggior sviluppo economico, dove ci si ammala di più ma si muore di meno rispetto ai paesi più poveri. Dobbiamo, quindi, affidarci soltanto alla prevenzione per aumentare le speranze di vita delle donne che scoprono di essere di essere state colpite? Fortunatamente no. Come ha di confermato di recente la Dott.ssa Nunziata D’Abbiero, Direttore Dipartimento Diagnostico e UO Radioterapia Oncologica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, negli ultimi anni sono state introdotte numerose iniziative e innovazioni in grado di impattare positivamente su prognosi, effetti collaterali e qualità della vita delle pazienti. In particolare, ci riferiamo a indagini di biologia molecolare che permettono di utilizzare farmaci in grado di agire su bersagli biomolecolari specifici e dare vita a trattamenti sempre più personalizzati.
Di grande impatto sono anche i passi avanti fatti in radioterapia con tecniche come l’ipofrazionamento capaci di ridurre le sedute di trattamento dalle canoniche 25 a 15, 10 o 5 sessioni. La dose irradiata è biologicamente la stessa, però la paziente può tornare alla normalità in tempi più brevi. Altre tecniche, come quelle del Breath Hold, ovvero il protocollo che prevede di trattenere il respiro in trattamento per alcuni intervalli di tempo e allontanare la ghiandola mammaria dalle strutture cardiache, permettendo di salvaguardare i tessuti sani di cuore e polmoni, sono ormai routinarie. La scienza sta compiendo passi da gigante in questo settore. Anche noi dobbiamo fare la nostra parte. La pandemia ha senza dubbio giocato un ruolo decisivo nell’appiattimento della curva di adesione alle iniziative di prevenzione; le donne italiane, però, non possono e non devono mancare l’opportunità di sottoporsi a controlli regolari.
2023-09-14T12:19:43Z dg43tfdfdgfd